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Eurobarometro 2021, gli italiani non conoscono i loro diritti digitali

Dal 1973 le istituzioni europee commissionano un sondaggio di opinione periodico in tutti gli Stati membri dell’Unione europea: l’Eurobarometro. Grazie a questo processo di lunga data, l’analisi dei risultati fornisce un quadro dettagliato delle tendenze e dell’evoluzione dell’opinione pubblica sulle questioni europee, sia a livello nazionale sia a livello sociodemografico. In particolare, quest’anno la Commissione Europea ha pubblicato i risultati di uno speciale Eurobarometro dedicato agli strumenti digitali. E dall’Eurobarometro 2021 è emerso come gli italiani, rispetti agli altri cittadini europei, siano tra i meno consapevoli dei loro diritti digitali e delle tutele di cui già dispongono.

La trasformazione digitale dovrebbe essere promossa di più dalla Ue

L’indagine, condotta tra settembre e ottobre 2021, ha coinvolto 26.530 partecipanti dei 27 Stati membri della Ue, e ha mostrato un forte interesse da parte dei cittadini europei verso internet e in generale nei confronti della trasformazione digitale. E secondo la maggioranza degli intervistati, la trasformazione digitale dovrebbe essere promossa ancora di più e meglio definita dall’Unione Europea, riferisce Webnews.

Gli strumenti digitali secondo gli europei

Oltre ad aver analizzato la percezione dei cittadini della Ue riguardo al futuro degli strumenti digitali e di internet, l’indagine speciale Eurobarometro 2021 ha esaminato anche la previsione dell’impatto di internet e degli strumenti digitali, dei servizi e dei prodotti digitali sulle loro vite da qui al 2030.
Stando ai dati dello studio, l’80% degli intervistati ritiene che gli strumenti digitali porteranno in uguale misura vantaggi e svantaggi, in particolare per via degli attacchi informatici. Poco più della metà degli intervistati, circa il 53%, teme invece per la sicurezza dei più piccoli, si legge su techprincess.it.

Italia al terzo posto per mancanza di consapevolezza sulla tutela online

Se la maggioranza dei cittadini ritiene che l’Unione europea tuteli adeguatamente i loro diritti, in Italia solo il 39% affermato di essere consapevole del fatto che tali diritti, ad esempio la libertà di espressione, la privacy e la non discriminazione, dovrebbero essere rispettati anche online. Il dato italiano è il terzo più basso, preceduto solo da Bulgaria (34%) e Romania (37%), mentre nella Ue la media si attesta al 60%. Viceversa, chi si è detto non consapevole è il 61% in Italia e il 39% in Europa. “I risultati di questo sondaggio – si legge in una nota della Commissione Ue – permetteranno di elaborare la proposta di dichiarazione europea sui diritti e i principi digitali”.
La Commissione, riporta Ansa, si propone infatti di presentare questa dichiarazione per promuovere una transizione digitale modellata da valori europei comuni come parte della sua ‘bussola digitale’ presentata il 9 marzo 2021, stabilendo una visione, gli obiettivi e la via da seguire fino al 2030.

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Eccellenze online

Quanto si risparmia con un depuratore d’acqua?

I moderni depuratori d’acqua sono degli strumenti sempre più in grado di rappresentare un valore aggiunto per il nostro benessere.

Essi sono infatti in grado di trattenere tutte le impurità e gli elementi nocivi presenti nell’acqua che arriva a noi tramite il rubinetto di casa, rendendola immediatamente potabile e regalandole un buon gusto.

C’è Inoltre da considerare un impatto non indifferente sull’ambiente: adoperando infatti l’acqua del rubinetto, evitiamo di andare a comprare le bottiglie in plastica del supermercato le quali inquinano l’ambiente e contribuiscono a liberare plastica sul territorio o nei nostri mari.

C’è sicuramente un altro aspetto da considerare quando si acquista un depuratore d’acqua, e non è certamente secondario. Parliamo Infatti del risparmio.

Risparmiare con un depuratore d’acqua

Vediamo adesso di approfondire l’aspetto economico e dunque comprendere effettivamente quanto si risparmia con un depuratore d’acqua. Prendiamo ad esempio una famiglia composta da quattro persone e consideriamo un fabbisogno giornaliero di 2 litri d’acqua a testa, dunque 8 litri d’acqua al giorno più eventuali 2 litri che vengono utilizzati per la preparazione di bevande quali the, e altre bevande o per la preparazione dei pasti. Dunque supponiamo un fabbisogno medio giornaliero di 10 litri d’acqua (uso alimentare) per una famiglia di 4 persone.

Allo stato attuale delle cose, un litro d’acqua minerale in bottiglia costa mediamente 0,15€, salvo particolari offerte. Ciò significa che la nostra famiglia tipo spenderà 1,50€ al giorno per l’approvvigionamento d’acqua uso alimentare, che moltiplicato per 365 giorni fa quasi 550€ in un anno.

E con il depuratore invece? Considera che ai prezzi attuali un metro cubo d’acqua costa circa 2,30€. E come è noto, un metro cubo contiene 1000 litri d’acqua. Dunque il costo di un litro d’acqua che esce dal rubinetto è presto fatto: 2,30€ / 1000 = 0,0023€.

In questo caso, volendo seguire lo stesso esempio, la nostra famiglia tipo spenderà esattamente 0,013€ al giorno per l’approvvigionamento d’acqua uso alimentare, che X 365 giorni fa quasi 1€.

Dunque la differenza è veramente netta ed emerge chiaramente tutta la convenienza del bere acqua direttamente dal rubinetto di casa anziché comprare la minerale al supermercato. Il risparmio è quantificabile dunque in circa 500€ l’anno per una famiglia di 4 persone, il che non è ovviamente un importo trascurabile ma al contrario una cifra sulla quale riflettere.

Se ti stai chiedendo dunque quanto si risparmia con un depuratore d’ acqua, i conti sono presto fatti e la convenienza appare essere evidente.

Altri vantaggi legati al depuratore d’acqua

Chiaramente i vantaggi non sono esclusivamente economici, ma come accennato anche pratici. Pensiamo dunque ai benefici per l’ambiente dal momento in cui non andiamo più a produrre della plastica per contenere le bottiglie.

Un altro aspetto che certamente non è secondario è quello legato alla comodità di approvvigionamento. Ottenere l’acqua necessaria per bere direttamente dal rubinetto di casa è chiaramente molto più conveniente rispetto il dover trasportare le pesanti bottiglie dal supermercato fino a casa.

Questa operazione tra l’altro va fatta piuttosto spesso soprattutto in Estate, quando si beve parecchio. Considerando che si riescono a trasportare un massimo di due o tre casse d’acqua alla volta, questa operazione non è certamente piacevole. Al contrario riuscire ad ottenere tutta l’acqua necessaria per bere dal rubinetto di casa diventa a tutti gli effetti una comodità soprattutto quando si è più avanti con gli anni.

Conclusione

Dunque i motivi legati all’adozione di un depuratore sono veramente tante e non riguardano esclusivamente la nostra salute, ma riguardano anche la comodità di accedere all’acqua da bere nonché il rispetto per l’ambente.

Ecco perché tante famiglie cercano informazioni sul depuratore acqua casa prezzi più adatto alle proprie necessità.

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Curiosità in numeri

Second Hand, la scelta sostenibile degli zillennials

Gli zillennials – ovvero gli under 40 definiti dalle due categorie GenZ e Millennials   – hanno un’attenzione alla sostenibilità a 360 gradi, decisamente maggiore rispetto a quella dei loro genitori e nonni. E questo approccio più attento all’ambiente e alle sue problematiche si traduce anche in una maggiore propensione all’acquisto di articoli di seconda mano. Lo rivela una ricerca commissionata da Wallapop, la piattaforma di vendita di articoli second hand, a Bva Doxa, intitolata “GenZ&Millennials: due generazioni a confronto” che indaga in particolare il tema della compravendita di oggetti usati mettendo a confronto le abitudini dei giovani dai 18 ai 40 anni. Il primo dato che emerge è che l’acquisto di oggetti usati è ormai un fenomeno globale: il 90% degli under 40 lo pratica almeno occasionalmente e oltre la metà (52%) in modo regolare.

Una modalità che rispetta l’ambiente

Nella ricerca si legge che per gli zillennials la second hand rappresenta una scelta sostenibile che rispetta l’ambiente (93%), intelligente (92%), che rende accessibili anche prodotti di alta gamma (30%) e permette di “togliersi” qualche sfizio senza costi eccessivi (28%). “Ridare vita agli oggetti” (52%) diventa però il desiderio principale di entrambe le generazioni, nell’ottica di un’economia circolare che sembra ormai far parte della vita quotidiana.

Possesso o condivisione?

Nel grande gruppo degli under 40, anche se l’atteggiamento verso gli articoli di seconda mano è simile, esistono però delle differenze, specie per quanto riguarda la percezione del “possesso” e della “condivisione” dei propri oggetti: è infatti la GenZ, riporta Italpress, a essere più propensa a condividere (30%): gli oggetti non vanno tanto posseduti, quanto usati in condivisione, il che permette anche di abbassare i costi dell’utilizzo. Oggi quindi il mercato del “second hand” è tutt’altro che fuori moda, è anzi molto più vicino al concetto di sostenibilità intelligente che sembra mettere d’accordo due generazioni apparentemente così diverse come Millennials e GenZ.

Responsabilità e guadagno extra

“Comprare articoli di seconda mano”, commenta Giuseppe Montana, Head of Internationalization di Wallapop, “è il modo perfetto per acquistare quello di cui si ha bisogno a un prezzo più vantaggioso e assicurarsi un guadagno extra grazie agli oggetti che non si usano più. Ma è anche molto di più perchè ogni acquisto su Wallapop alimenta un consumo responsabile, allungando la vita dei prodotti ed evitando la loro sovrapproduzione”. Insomma, dare una seconda vita agli oggetti fa bene al pianeta, al proprio guardaroba e naturalmente al portafoglio.

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Statistiche

Indice Desi: Italia al 20° posto in Europa

Nell’indice della Digitalizzazione dell’economia e della società in Europa, l’indice Desi, nel 2021 l’Italia scala cinque posizioni, e sale al 20° posto fra i 27 Stati membri dell’Unione. Secondo il Rapporto il nostro Paese rimane però significativamente in ritardo in termini di capitale umano, registrando livelli di competenze digitali di base e avanzate molto bassi, anche se in termini di trasformazione digitale nel corso del 2020 il nostro paese ha compiuto alcuni progressi in termini di copertura e diffusione delle reti di connettività, con un aumento significativo della diffusione dei servizi di connettività che offrono velocità di almeno 1 Gbps. 

“L’Italia avanza: abbiamo finalmente iniziato a risalire la classifica”

“L’Italia avanza: crescono digitalizzazione e competenze, abbiamo finalmente iniziato a risalire la classifica, ma rimane ancora molto da fare – commenta la Sottosegretaria al Mise, Anna Ascani -. Le 12 posizioni guadagnate nel campo dell’integrazione delle tecnologie digitali, con un punteggio Paese al di sopra di quello europeo, dimostrano gli sforzi che abbiamo sostenuto, e che stiamo ancora affrontando, affinché il sistema Italia si avvalga di tutte le tecnologie a disposizione. Il Cloud, ad esempio, registra un livello di adozione da parte delle imprese pari al 38%, in evidente crescita rispetto al 15% del Desi 2020”.

Connettività: siamo in ritardo negli indicatori relativi alla copertura 5G

L’indice Desi 2021 dice però che dobbiamo fare di più per quanto riguarda la connettività. Siamo infatti al 23° posto, e siamo in ritardo anche negli indicatori relativi alla copertura 5G (8% rispetto al 14% della media Ue).
“Su questo versante – aggiunge Anna Ascani – stiamo dando un impulso significativo grazie all’attuazione della Strategia per la Banda Ultralarga, attraverso il completamento del Piano Aree Bianche e l’avvio di interventi come Italia a 1 Giga e Italia 5G”.

Pmi, sanità e digitalizzazione, qualche lacuna da colmare

Sempre secondo il Rapporto, riporta Adnkronos, la maggior parte delle Pmi (69%) ha raggiunto almeno un livello base di intensità digitale, una percentuale al di sopra della media Ue (60%). Le imprese italiane poi fanno registrare ottimi risultati nell’uso della fatturazione elettronica, sebbene permangano lacune nell’uso di tecnologie quali i big data e AI, nonché nella diffusione dell’e-commerce. Ma sul fronte sanità digitale in Italia l’uso dei fascicoli sanitari elettronici da parte i cittadini e operatori sanitari rimane disomogeneo su base regionale. E se la percentuale di utenti online che utilizzano servizi di e-government è passata dal 30% nel 2019 al 36% nel 2020, è ancora nettamente al di sotto della media Ue.

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Eccellenze online

In che modo la presenza di olio influisce sulla qualità dell’aria compressa?

Le aziende che operano in settori come quello alimentare e delle bevande, farmaceutico, cosmetico, manifatturiero ed elettronico, conoscono bene gli effetti negativi derivanti dalla presenza dell’olio nell’aria compressa sulla qualità del prodotto finale durante le fasi di produzione.

La contaminazione dei prodotti e la preoccupazione per la sicurezza dei consumatori associati alla presenza  di olio possono avere un forte impatto negativo sia a livello economico che commerciale per ogni tipo di azienda.

Tuttavia, l’olio presente nell’ambiente e che finisce nell’aria compressa spesso è trascurato e viene interpretato erroneamente come innocuo, sottovalutato o ignorato.

In questo articolo esamineremo l’effetto che i livelli di vapore dell’olio presenti nell’ambiente possono avere sulla qualità dell’aria compressa e cosa considerare quando si ha bisogno di un’aria compressa tecnicamente “oil-free”.

Il processo di compressione

Il processo di compressione, così come la portata ed il tempo, influenzano la quantità di olio nell’aria compressa che viaggia attraverso il sistema di produzione. Quest’aria si fa strada nelle apparecchiature di produzione, nella strumentazione, nei prodotti e nei materiali di imballaggio.

La compressione dell’aria, o pressurizzazione, può aumentare significativamente il volume dell’olio presente nel sistema. Maggiore è la pressione di esercizio, maggiore è il potenziale livello di olio nell’aria compressa.

Ciò è aggravato dalla portata e dal tempo di funzionamento. I compressori sono spesso progettati per funzionare continuamente: ciò significa che la concentrazione di olio continua a moltiplicarsi tra gli spazi ristretti del sistema di aria compressa, ed uscirà dal sistema solo nei punti in cui viene rilasciata l’aria.

Questi punti di uscita si trovano spesso in aree in cui l’aria compressa contaminata entra in contatto con il prodotto, le apparecchiature di produzione o la strumentazione. Quindi quelli che possono sembrare livelli trascurabili di idrocarburi e composti organici volatili nell’aria, possono diventare una delle principali preoccupazioni nel processo di produzione.

Ciò avviene sia con i compressori industriali usati che con i compressori di nuova generazione.

Effetti sulla qualità

Una volta all’interno del sistema di aria compressa, i vapori di olio si raffreddano e si condensano, mescolandosi con l’acqua presente nell’aria. Questa contaminazione causa numerosi problemi al sistema di stoccaggio e distribuzione dell’aria compressa, alle apparecchiature di produzione e al prodotto finale, portando a:

  • Processi produttivi inefficienti
  • Prodotto finale danneggiato
  • Bassa efficienza produttiva
  • Costi di manutenzione più elevati

Compressori oil-free

A causa dell’impatto finanziario e commerciale di un prodotto contaminato, molte aziende scoprono la necessità di poter usufruire di un compressore “oil-free”, senza sapere però che questo non basta per avere un’aria compressa veramente pulita.

I sistemi di aria compressa oil-free infatti, sono spesso installati senza apparecchiature di purificazione destinate a rimuovere l’olio (gli appositi filtri), poiché sono visti come accessori non necessari.

Sebbene sia vero che i compressori d’aria oil-free non presenteranno quantità d’olio nel modo in cui lo faranno quelli che invece ad olio vengono lubrificati, il vapore d’olio presente nell’aria ambiente non è fisso.

Considerazioni per aria tecnicamente oil-free

L’aria tecnicamente “oil-free”, secondo la norma ISO 8573-1 (norma internazionale per la purezza dell’aria compressa), Classe 0 o Classe 1, può essere garantita solo dalla corretta applicazione delle apparecchiature di depurazione.

Questi sistemi possono essere ad esempio i separatori d’acqua e filtri a coalescenza per rimuovere acqua e olio e particelle solide, nonché filtri ad adsorbimento per trattare il vapore d’olio.

Gli utenti che cercano una fonte di aria “oil-free” dovrebbero prendere in considerazione queste fasi di purificazione preventiva, sia che utilizzino compressori d’aria lubrificati che quelli oil-free.

Per stabilire la conformità con ISO8573-1 Classe 0 o Classe 1, gli standard internazionali che classificano il livello dell’olio nell’aria compressa, gli utenti devono eseguire degli appositi test per valutare la presenza di spruzzi e vapori d’olio nei loro sistemi.

I livelli di ciascuna fase saranno combinati per stabilire la quantità di olio totale presente nel sistema. Per i test, i campioni in ciascuna fase devono essere prelevati tramite un processo di estrazione con solvente e analizzati mediante la tecnica della gascromatografia.

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Eccellenze online

Reputazione turistica 2021: medaglia d’oro al Trentino-Alto Adige

Il Trentino-Alto Adige conferma la prima posizione nella classifica generale della reputazione turistica, seguito da Toscana ed Emilia-Romagna.  Quanto all’Appeal dei portali turistici, con oltre 1,4 milioni di like e follower sulle pagine ufficiali di Instagram, Facebook, Twitter e Youtube, il Trentino-Alto Adige ottiene anche la visibilità più rilevante, ed è la destinazione più social d’Italia, seguita da Marche e Toscana.
A non investire ancora sulle reti social sono invece tre destinazioni: Molise, con 5,4mila like e follower rilevati, Campania (14,5mila) e Calabria (32,6mila). Sono alcuni risultati del Regional Tourism Reputation Index 2021 dell’istituto di ricerca Demoskopica. Con oltre 688 milioni di pagine indicizzate, quasi 7 milioni di like e follower sui social, più di 50 milioni di recensioni e 450mila strutture ricettive osservate il Regional Tourism Reputation Index 2021 sintetizza i numeri generati dalle regioni italiane relative alla reputazione turistica delle destinazioni.

Toscana, Emilia-Romagna e Lombardia le destinazioni più cliccate

Con 53,4 milioni di pagine indicizzate, il territorio toscano ottiene il massimo punteggio nella classifica dell’indicatore Ricerca della destinazione, ottenuto conteggiando le pagine indicizzate su Google della keyword ‘vacanze’ seguita da ‘nome destinazione 2021’. Sul podio si piazzano anche due new entry, Emilia-Romagna e Lombardia, rispettivamente con 52,1 milioni e 48,8 milioni di pagine indicizzate. Piazzamento anche per Veneto, con 47,8 milioni di risultati, Piemonte, con 47,2 milioni di risultati, Lazio (40,9 milioni), Liguria (39,5 milioni), Sicilia (36,1 milioni), e Trentino-Alto Adige (35,5 milioni).

Popolarità sul web: Toscana, Sardegna e Sicilia sul podio

Quanto al confronto della popolarità delle destinazioni, nelle prime posizioni dell’indicatore sono sei le realtà territoriali. Digitando il nome di ciascun territorio regionale su Google Trends in uno stesso periodo categorizzato per il filtro ‘viaggi’, è stato possibile monitorare la tendenza della destinazione e confrontarne il livello medio di popolarità. Il dettaglio dei risultati colloca la Toscana in vetta alla classifica, seguita da Sardegna, Sicilia, Calabria, Liguria, e Puglia.

La Basilicata è al primo posto fra i sistemi ricettivi più apprezzati

Con 108,1 punti, la Basilicata, conquista il primo posto, quale sistema ricettivo più apprezzato del Belpaese. Il risultato è stato ottenuto riparametrando le performance dei punteggi delle graduatorie parziali emerse dai siti di ranking utilizzati, ovvero, con il maggior numero di recensioni totalizzate su TripAdvisor, e di valutazioni positive sul totale delle strutture rilevate su Booking, Expedia e Google Travel.  Rispetto all’anno precedente, passa dal terzo al secondo posto il Trentino-Alto Adige, la Liguria conquista il terzo posto, e salgono di posizione anche Puglia e Veneto. L’analisi particolareggiata dell’apprezzamento dell’offerta ricettiva si muove dal presupposto che i consumatori tendano ad avere maggiore fiducia nelle loro decisioni quando si accorgono che una destinazione è caratterizzata da un insieme rilevante di recensioni positive dei viaggiatori. In questo caso, la relazione appare chiara: più recensioni e valutazioni positive significano più attenzione verso un determinato luogo o territorio.

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Economia

Effetto clima: l’anno nero dell’agricoltura si abbatte sulle tavole degli italiani

A causa del clima impazzito i danni per la produzione agricola italiana nel 2021 sono enormi, e potenziali ripercussioni ricadono anche per la disponibilità di prodotti agro-alimentari sui mercati locali. I consumatori potrebbero infatti essere gravemente colpiti dall’aumento dei prezzi dei beni alimentari, soprattutto di frutta e verdura. Gli effetti della crisi climatica si ripercuotono quindi sul mercato dell’ortofrutta italiano, e di riflesso, sulle nostre tavole. L’allarme arriva da un’analisi del Wwf contenuta nel report ‘2021 effetto clima: l’anno nero dell’agricoltura italiana’, condotto per denunciare come il clima abbia inciso drammaticamente sulla produzione di alcuni prodotti tipici del nostro territorio, facendo salire i prezzi alle stelle.

Circa 14 miliardi di euro: il costo degli eventi estremi negli ultimi 10 anni

Negli ultimi 10 anni gli eventi climatici estremi sono costati al comparto agricolo circa 14 miliardi di euro. Nel decennio dedicato dalle Nazioni Unite alla nutrizione (2016-2025), il 2021 è celebrato dalla FAO come l’anno internazionale della frutta, ma questa ricorrenza coincide anche con quello che viene definito da molti ‘l’anno nero dell’ortofrutta italiana’. Il report del Wwf evidenzia infatti come nella regione mediterranea il riscaldamento superi del 20% l’incremento medio globale della temperatura, ponendo il nostro Paese in una posizione di particolare vulnerabilità rispetto agli effetti del cambiamento climatico.

Per il miele 95% della produzione in meno rispetto al 2020

Con circa 1500 eventi estremi, il 2021 fa registrare in Italia un aumento del 65% di nubifragi, alluvioni, trombe d’aria, grandinate e ondate di calore rispetto agli anni precedenti. Secondo i dati riportati dal WWF alcune colture sono state penalizzate in modo generalizzato, come il miele, arrivato a perdere addirittura il 95% della produzione rispetto all’anno precedente, e la frutta, che vede un calo medio del 27%, con picchi del -69% registrato dalle pere. Ma anche il riso (-10%), il vino, che in alcune regioni ha subìto cali fino al 50%, e l’olio, in alcune regioni del Centro-Nord ha registrato i danni più gravi, fino all’80% in meno nell’anno che invece doveva segnare una produzione in crescita.

Più di un frutto su quattro è andato perduto

In pratica, più di un frutto su quattro è andato perduto per eventi estremi e imprevedibili quali gelate, siccità e grandinate. Anche le filiere di trasformazione sono state messe in crisi. Il caldo torrido di quest’estate, ad esempio, ha accelerato la maturazione del pomodoro, superando la capacità logistica per raccoglierlo, trasportarlo e lavorarlo: il 20% del raccolto è andato perduto, riferisce Italpress.
“La crisi climatica, con i suoi molteplici effetti, sta minacciando la capacità produttiva dei sistemi agricoli a livello globale, compromettendo la loro capacità di nutrire adeguatamente l’umanità – afferma Eva Alessi, Responsabile Sostenibilità del Wwf Italia -. I nostri comportamenti a tavola e fuori sono determinanti, non possiamo più ignorare il nostro ruolo all’interno del sistema globale”.

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Economia

Si consolida il trend della fiducia per i consumi

Il 2021 è iniziato con un certo pessimismo sul fronte dei consumi, ma l’inizio della primavera ha visto un’inversione di rotta dovuta sia al rafforzamento della copertura vaccinale sia alla crescita della fiducia nelle istituzioni. Il trend di fiducia si è ulteriormente consolidato alla fine di settembre, seppure con zone d’ombra dovute a un livello generale di incertezza rispetto al futuro. Quanto ai canali di vendita e agli acquisti, si sta assistendo a una doppia tendenza: se da una parte crescono le vendite online dall’altra crescono anche gli acquisti nei piccoli negozi di quartiere.

Una doppia tendenza: si rafforza l’online e crescono i negozi di quartiere

È quanto emerge da un’indagine sui consumi 2021 realizzata da Ey, il network mondiale di servizi professionali di consulenza, e Swg, la società italiana di ricerche di mercato. Per quanto riguarda i comportamenti di acquisto, rispetto a settembre 2020 si consolida l’importanza del canale online, e al contempo si evidenzia la contemporanea crescita sia della tendenza a recarsi nei centri commerciali (+19%) sia di utilizzare i piccoli negozi di quartiere (+26%).

I driver per gli acquisti e le intenzioni di spesa

I driver centrali per gli acquisti online sono la comodità e la semplicità del processo, dalla scelta dei prodotti fino alla consegna, mentre gli acquisti in store sono centrato sulla relazionalità, con la merce, le persone e il territorio. Secondo la ricerca di Ey e Swg poi nel prossimo semestre le intenzioni di spesa sembrano mostrare una crescita della propensione a rinnovare casa (30%), i mezzi di trasporto (23%) e gli investimenti di tipo finanziario (26%). Nel rapporto con il brand, invece, la percezione della eticità dei comportamenti risulta sempre più rilevante, riporta Adnkronos. 

Etica aziendale, qualità, sostenibilità e innovazione 

L’etica aziendale si esprime in primo luogo nel rispetto dei consumatori attraverso l’offerta di prodotti di qualità (46%), di prodotti al giusto prezzo (45%), e nel rispetto di dipendenti, fornitori e dell’ambiente (34%),
La qualità rappresenta poi anche il principale valore per il quale si sarebbe disposti a pagare di più un prodotto (76%), seguita da sostenibilità (64%) e innovazione (61%), riferisce la Repubblica.
“Le aziende sono chiamate a rispondere a domande chiave per trasformare le proprie strategie di business – commenta Paolo Lobetti Bodoni, EY Consulting Market Leader in Italia – e seguire i nuovi trend di consumo significa investire in una trasformazione di natura strutturale, a partire dalla ridefinizione della propria identità”.

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Eccellenze online

Offerte codici sconto Amazon: le novità

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 Vantaggi dei codici sconto Amazon

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Curiosità in numeri

Database da 3,8 miliardi di dati messo in vendita online a 100 mila dollari

I dati degli utenti, tra cui nomi e numeri di telefono, si vendono online. Un popolare forum per hacker ha infatti messo in vendita online un database che conterrebbe 3,8 miliardi di dati di utenti di Clubhouse e Facebook. E la richiesta per questo database è di 100 mila dollari. Secondo il sito Cybernews, il database sarebbe formato dai dati degli utenti iscritti a Clubhouse precedentemente violati, e da quelli dei loro contatti presenti in rubrica. Ma non solo: il database conterrebbe anche i dati dei profili Facebook associati all’account Clubhouse, e probabilmente anche quelli provenienti da un furto su Facebook già noto e risalente al mese di aprile 2021. Queste violazioni sono avvenute con la tecnica dello ‘scraping’: si tratta dell’esfiltrazione dei dati per mezzo di un software utilizzato dagli hacker.

Contatti Facebook, utili per ricostruire un potenziale network da attaccare

Il database includerebbe dati personali, come nomi e numeri di telefono, e tra le informazioni sensibili, anche la posizione dell’utente basata sui suffissi dei numeri di telefono. Oltre a questo, includerebbe anche i contatti Facebook, utili per ricostruire, eventualmente, un potenziale network da attaccare. Secondo gli esperti, a colpire è soprattutto l’ampiezza del database e il mix di informazioni contenute grazie ai profili Facebook. A preoccupare però è il fatto che i furti di questa entità spesso danno il via a massicce campagne di phishing.

Lo scraping è la tecnica usata per “rubare” i profili

La vendita online del database da 3,8 miliardi di dati risale ai primi di settembre del 2021 ed è il frutto di due furti già noti subiti da Clubhouse nei mesi di aprile e luglio con la tecnica dello scraping.  Con lo stesso metodo, sempre lo scorso aprile, anche Facebook è stata colpita dal furto di 533 milioni di profili.
“Le persone tendono a condividere troppe informazioni sui social media – spiega Mantas Sasnauskas, ricercatore del sito Cybernews – questo fornisce tante superfici di attacco per portare a termine le truffe di malintenzionati”.

Clubhouse: “Non c’è stata violazione, colpa dei bot”

Grazie alla pandemia Clubhouse ha avuto un picco di popolarità la scorsa primavera, e a oggi conta circa 13 milioni di utenti in tutto il mondo. A febbraio il Garante Privacy italiano ha fatto richiesta formale alla piattaforma di conoscere tutti i dettagli in merito al trattamento dei dati personali degli utenti, compreso quello relativo alla condivisione di informazioni della rubrica o di altre app effettuata all’interno di Clubhouse, nonché della raccolta di dati da queste ulteriori app e social. Dal canto suo, Clubhouse si difende: “Non c’è stata alcuna violazione di Clubhouse – spiega la piattaforma -. Ci sono una serie di bot che generano miliardi di numeri di telefono casuali. La privacy e la sicurezza sono della massima importanza e noi continuiamo a investire in pratiche di sicurezza”.