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Clima: perchè l’Europa è impreparata al cambiamento?

In base alla valutazione dell’Agenzia europea dell’ambiente, l’Aea, i rischi climatici hanno già raggiunto livelli critici. E potrebbero diventare catastrofici in assenza di interventi urgenti e decisivi.
In Europa, i rischi legati ai cambiamenti climatici minacciano la sicurezza energetica e alimentare, gli ecosistemi, le infrastrutture, le risorse idriche, la stabilità economica e la salute dei cittadini. 

Secondo i risultati della prima valutazione europea dei rischi climatici, l’European Climate Risk Assessment (Eucra), in Europa le politiche e gli interventi di adattamento non tengono il ritmo con la rapida evoluzione di questi rischi. “In molti casi – si legge nel rapporto -, un adattamento incrementale non sarà sufficiente. Inoltre, poiché numerose misure volte a migliorare la resilienza ai cambiamenti climatici richiedono molto tempo, possono essere necessari interventi urgenti anche per rischi non ancora critici”.

Occorre agire tempestivamente

In alcune regioni d’Europa si concentrano rischi climatici multipli. L’Europa meridionale, ad esempio, è “particolarmente a rischio a causa degli incendi boschivi nonché degli effetti delle ondate di calore e della scarsità di acqua sulla produzione agricola, sul lavoro all’aria aperta e sulla salute umana. Le inondazioni, l’erosione e l’infiltrazione di acqua salata minacciano le regioni costiere europee a bassa quota, comprese molte città densamente popolate”.

Secondo Leena Ylä-Mononen, direttrice esecutiva dell’Aea, “l’Europa si trova di fronte a rischi climatici urgenti che si acuiscono più rapidamente di quanto le nostre società riescano a prepararsi. Per garantirne la resilienza, i responsabili politici europei e nazionali devono agire immediatamente – aggiunge – sia mediante una rapida riduzione delle emissioni sia con l’attuazione di politiche e di interventi di adattamento forti”.

I 36 rischi principali

La valutazione dell’Aea individua in Europa 36 principali rischi climatici nell’ambito di cinque grandi gruppi: ecosistemi, alimenti, salute, infrastrutture, economia e finanza.
Quasi tutti i rischi nel gruppo ecosistemi, poiché presentano un elevato potenziale di ricaduta su altri settori, richiedono interventi urgenti. Soprattutto i rischi per gli ecosistemi marini e costieri.

I rischi dovuti a caldo eccessivo e siccità sono già a livello critico per la produzione agricola nell’Europa meridionale, ma il calore è il fattore di rischio climatico più grave anche per la salute.
Gli eventi meteorologici estremi più frequenti aumentano poi i rischi per le infrastrutture e i servizi critici (energia, acqua, trasporti). E numerosi rischi climatici interessano anche l’economia e il sistema finanziario.

L’importanza della cooperazione

Secondo l’Agenzia, “l’Ue e i relativi Stati membri hanno compiuto notevoli progressi nella comprensione dei rischi climatici e nella preparazione ad affrontare tali rischi. Tuttavia, la preparazione della società in generale è resa insufficiente dal ritardo nell’attuazione delle politiche rispetto al rapido aumento dei livelli di rischio”.

La valutazione dell’Aea, riferisce riporta Adnkronos, sottolinea che, “per affrontare e limitare i rischi climatici in Europa, l’Ue e gli Stati membri devono collaborare coinvolgendo anche i livelli regionali e locali laddove si rivelino necessari interventi urgenti e coordinati”.

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Agenda 2030: l’Italia e gli obiettivi ONU per lo Sviluppo Sostenibile

Quali sono le opinioni dei cittadini italiani rispetto alle priorità dell’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile? Il 19% pensa che tutti i 17 Obiettivi dell’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile (SDGs) dovrebbero avere pari dignità, mentre l’81% identifica alcune priorità, in parte legate alla specificità del momento.
Ad esempio, la lotta alla povertà (Goal 1) si colloca a metà della classifica (8° posto) tra le priorità percepite all’interno degli Obiettivi: il 17% degli italiani la indica tra le più rilevanti e il 5% la pone al primo posto. Anche l’obiettivo di sconfiggere la fame (Goal 2, 6°) è al primo posto per il 5% degli intervistati.

Se gli italiani mostrano una sempre maggiore consapevolezza e attenzione alla sostenibilità, i dati Ipsos pubblicati nel Rapporto ASviS 2023 registrano anche un crescente scetticismo riguardo all’effettiva volontà di costruire un mondo più sostenibile. Tanto che in cinque anni gli ‘scettici’ sono passati dal 13% al 22%.

Cambiamento climatico, lavoro e salute sul podio delle priorità  

Sul podio della classifica delle priorità salgano il Goal 3 (Salute e benessere, 3°), l’Obiettivo 8, relativo a lavoro dignitoso e crescita economica (2°), ma al 1° posto si posiziona il Goal 13, la lotta contro il cambiamento climatico, considerato l’obiettivo di sviluppo sostenibile più importante.
Il 28% della popolazione lo ritiene di massima urgenza, ed è una delle principali preoccupazioni avvertite sia a livello globale sia in Italia.

Ai piani alti della classifica, coerentemente con l’assoluta necessità di combattere il cambiamento climatico, si posizionano anche il Goal 15 (Vita sulla terra, 4°), seguito dal Goal 7, focalizzato su energia pulita e accessibile (5°).

Disuguaglianze e disparità di genere sono un po’ meno importanti

Quanto agli altri 17 SDGs se l’offerta di un’istruzione di qualità, equa e inclusiva (Goal 4), si colloca nella seconda metà della classifica (10°), la lotta alle disparità di genere (Goal 5) conquista solo il 12° posto.
Più rilevante sono considerati il sesto Obiettivo (Acqua pulita e servizi igienico-sanitari), al 7° posto, e il Goal 16 (Pace, giustizia e istituzioni solide), al 9°, con il 15% che lo indica tra gli obiettivi più importanti.

A sorpresa, la riduzione delle disuguaglianze (Goal 10) all’interno e fra i Paesi in Italia non è considerata una priorità.
Relegata all’11° posto della classifica dei 17 SDGs, è considerata una priorità solo per il 13% di coloro che sono a conoscenza dell’Agenda 2030.

La vita del mare è in fondo alla classifica

Nonostante sia indubbio che le città giocheranno un ruolo cruciale per raggiungere gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile, il Goal 11 (Città e comunità sostenibili, è solo al 13° posto, seguito dal Goal 12 (Consumo e produzione responsabile, 14°), e dal Goal 9 (Imprese, innovazione e infrastrutture, 15°).

Il proposito di conservare e utilizzare in modo sostenibile le risorse del mare occupa la penultima posizione della classifica (Goal 14, Vita sott’acqua), mentre la costruzione di partnership (Goal 17, Partnership per gli obiettivi) è l’ultima delle priorità percepite: solo il 3% della popolazione la indica tra gli Obiettivi più rilevanti.

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Mobilità: sostenibile o precaria? Come si muovono gli italiani

In Italia a ostacolare gli sforzi per ridurre l’uso dell’auto privata, i cui costi di acquisto e carburante sono aumentati, è la situazione di precarietà nella mobilità fotografata dall’Osservatorio Stili Mobilità.
Secondo la ricerca, realizzata da Ipsos e Legambiente in collaborazione con Unrae, la precarietà nella mobilità affonda le radici nell’assenza di alternative all’uso dell’auto privata per raggiungere servizi essenziali, come strutture scolastiche e mediche.

Le città più colpite da una condizione di precarietà nella mobilità sono Napoli, con il 34% dei cittadini che non sempre riesce a spostarsi, e Roma (33%).
Torino (28%) è a metà strada, mentre a Milano e Bologna, con un’elevata offerta di mobilità sostenibile ed elettrica, il livello di precarietà si attesta intorno al 20-21%.

Il 64% dei viaggi settimanali è a bordo di veicoli di proprietà

Ogni settimana gli italiani trascorrono in media sei ore in viaggio. Il 64% dei viaggi si svolge a bordo di auto e moto di proprietà, in leggera diminuzione rispetto all’anno precedente. Aumenta invece l’uso medio dei mezzi pubblici e dell’auto elettrica (privata o a noleggio), passato dall’11% al 13%.

Rimangono stabili gli spostamenti sostenibili (a piedi, in bici o in monopattino elettrico), che ammontano al 22% del tempo di viaggio, mentre diminuiscono del 10% circa gli spostamenti nei giorni festivi, i primi a essere sacrificati da chi fatica ad arrivare alla fine del mese.
La mobilità sostenibile prevale a Bologna (49%) e Milano (48%), mentre il 40% e il 45% avviene in auto e moto a combustione. Percentuali più alte si registrano a Torino (51%), Roma (54%) e Napoli (55%).

Le difficoltà nello spostamento

Oltre alla carenza di trasporti pubblici, gli orari poco convenienti e l’assenza di servizi di sharing, sulla precarietà nella mobilità incidono anche le condizioni economiche delle famiglie.
Le difficoltà nello spostamento spingono gli italiani a rinunciare a opportunità di lavoro (28%), uscite di piacere (25%), visite medica (19%), studio (17%).

Tra i vari tipi di precarietà, il dato che preoccupa maggiormente riguarda il 7% delle persone in condizione di estrema mobility poverty, ovvero, che non dispone di mezzi pubblici o in condivisione di prossimità, né ha la possibilità di acquistare un’auto.
Si trovano in condizioni di precarietà, pur meno estreme, coloro che denunciano un elevato costo del carburante rispetto al reddito (9%), lamentano l’assenza di alternative all’auto privata e/o l’impossibilità di cambiare il mezzo obsoleto (8%), o evidenziano elevati costi dovuti alla necessità di percorrere in auto lunghe percorrenze quotidiane (8%).

Meglio le auto elettriche?

Circa il 50% degli italiani desidera acquistare un’auto nuova, di cui il 47% preferisce veicoli tradizionali, il 14% auto elettriche, l’11% ibride ricaricabili (plug-in), il 29% ibride.
Le principali motivazioni chi sceglie veicoli a combustione interna riguardano costi più convenienti (29%), maggiore autonomia (28%), paura di non trovare stazioni di ricarica rapide (24%) e migliori prestazioni (maggiore potenza e accelerazione, 15%).

Chi preferisce veicoli elettrici è motivato principalmente dalla riduzione dell’impatto ambientale (32%), soprattutto a Bologna (45%) e Napoli (41%).
A seguire, costi operativi inferiori 20%, tecnologie innovative (14%), incentivi fiscali e/o agevolazioni per l’acquisto (13%), timore di non poter circolare ovunque liberamente con le auto tradizionali nel futuro (12%), migliori prestazioni (7%).

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I criteri ESG sono sempre più importanti per i compensi dei manager

Nel 2022 i fattori ambientali, sociali e di governance hanno concorso a determinare i compensi degli amministratori delegati in 127 società con azioni ordinarie negoziate sul mercato Euronext Milan, pari al 58,5% del totale e l’11,5% rispetto alle 106 del 2021.
Il Rapporto Consob 2022 sulla Rendicontazione non finanziaria delinea una crescente integrazione tra sostenibilità e finanza, elemento chiave per rendere la transizione ecologica non solo auspicabile, ma reale.

Per capire come la rivoluzione ESG stia impattando sull’economia, è interessante notare come i temi di sostenibilità influenzino la remunerazione del CdA, soprattutto in ambito finanziario, dove coinvolgono 31 emittenti (65% del settore), seguito da quello industriale (66 emittenti, 56%) e dalle imprese dei servizi (30 emittenti, 58%).

L’impulso positivo della normativa comunitaria

Nello specifico, questi fattori hanno influenzato le remunerazioni di breve termine in 111 casi e quelle di lungo termine in 75.
L’evoluzione della normativa comunitaria sta dando un grande impulso al settore. Non a caso, il collegamento tra fattori ESG e remunerazioni è più frequente nelle società di maggiori dimensioni, appartenenti all’indice Ftse Mib (31 casi, il 94% dell’indice) o al Mid Cap (27 casi, 77%).

Come spiega Esgnews.it, i dirigenti vengono premiati per i risultati ottenuti negli aspetti social (capitale umano, sicurezza sul lavoro, soddisfazione dei clienti, innovazione), ambientali (riduzione delle emissioni di C02, economia circolare, gestione dei rifiuti, energie rinnovabili), di governance (avanzamento negli indici e nei rating ESG, aumento dei prodotti ESG offerti dalla società).

Piani strategici e coinvolgimento degli stakeholder esterni

Le tematiche ambientali sono predominanti nelle strategie. Delle 13 società che hanno raggiunto un’integrazione completa, 8 hanno dato spazio a tutte le dimensioni ESG, mentre 5 hanno trattato maggiormente tematiche sull’ambiente, riservando meno spazio agli aspetti sociali e di governance.
Inoltre, per le società e i decision-maker il ruolo degli stakeholder è sempre più rilevante per raggiungere gli obiettivi di sostenibilità.

Dalle dichiarazioni non finanziarie di 148 società quotate emerge che il coinvolgimento degli stakeholder sia aumentato di circa il 4%, raggiungendo nel 2022 il 65,8% delle società analizzate.
Il ruolo di questi portatori di interesse è soprattutto quello di affiancare le società nel definire le tematiche ESG più importanti in ottica operativa e strategica.

La formazione

Un ostacolo alla trasformazione ESG è rappresentato dalla scarsa formazione. Secondo uno studio di Manpower Group il 94% delle aziende a livello globale non ha le competenze necessarie per raggiungere gli obiettivi ambientali, sociali e di governance. Ma nel 2022 il 76,4% delle società emittenti analizzate dal Rapporto Consob ha organizzato almeno una sessione formativa per manager e personale, per un totale di 113 società interessate.

Le tematiche su cui più si concentra la formazione in ambito ESG sono innovazione digitale, capitale umano, sostenibilità in generale e ambiente.
Ma ancora una volta, sono soprattutto le società medio grandi e quelle del settore finanziario che organizzano più frequentemente almeno un corso di formazione su temi ESG durante l’anno.

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I genitori italiani passano più tempo con i figli

Sono i genitori italiani quelli che passano più tempo in famiglia. Un sondaggio condotto da Novakid in 7 Paesi in Europa e Medio Oriente, compresa l’Italia, evidenzia come nel nostro Paese si passi più tempo con i figli rispetto a Spagna,  Francia, Germania, Turchia, Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti. Circa il 32% dei genitori italiani dichiara infatti di passare con i figli più di 4 ore al giorno durante la settimana. Percentuale che corrisponde, ad esempio, solo al 18% dei francesi.
Ovviamente nel fine settimana il tempo passato con i figli aumenta, e il sabato e la domenica sono oltre il 77% i genitori italiani che passano almeno 4 ore al giorno con i figli, e oltre il 29% con i figli passa anche più di 6 ore al giorno. Molto più di quanto rilevato in Spagna (21%), Germania (26,1%) e Francia (10%).

Le attività preferite

Cosa fanno in Italia genitori e figli quando sono insieme? Principalmente giocano (59%), cucinano e preparano dolci (36%), guardano film o cartoni animati in TV (50%).
Non sembra essere molto diffusa la lettura, scelta solo dal 16,3% dagli italiani, mentre è molto più popolare in Turchia (42%) o in Francia (30,1%). In coda alla lista delle attività scelte per il tempo libero, vedere amici o familiari (10%). I compiti, naturalmente, assorbono parte del tempo libero delle famiglie. E se l’85% dei genitori italiani dedica al massimo un’ora e mezza al giorno a questa attività, in Francia, Spagna e Germania la percentuale è più alta.

Chi decide cosa si fa nel tempo libero?

Organizzare il tempo libero con i bambini richiede pianificazione? A quanto pare si, perché solo l’11% dei genitori italiani dichiara di non programmare il tempo libero. Percentuale che scende al 7,3% in Spagna e al 7% in Germania. E chi decide cosa si fa durante il fine settimana o nel pomeriggio libero? In molti casi sono i bambini stessi a scegliere cosa fare, tanto che il 50% dei genitori in Italia dichiara di chiedere ai figli cosa preferiscono fare. Percentuale che sale al 64% in Francia e al 66,5% in Germania. Dopo i figli, la seconda opzione è quella di consultarsi con il partner (43,3%).

Il senso di colpa genitoriale

Le idee su cosa fare nel fine settimana con i bambini arrivano anche dai social media (36,7%) e dalle newsletter a cui i genitori sono iscritti (14,7%), oppure da amici o altri genitori con figli che propongono attività da fare insieme (14,7%).
Ma la maggioranza dei genitori di tutti i paesi prova una sorta di ‘senso di colpa genitoriale’ per non condividere abbastanza tempo con i propri bambini. In Italia la percentuale è il 72%, mentre negli altri paesi si va dal 54% dei genitori spagnoli a oltre il 76% in Francia. Al contrario, in Italia la percentuale di genitori che ritengono di passare abbastanza tempo con i figli è il 15,3%.

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Gender equality, qual è la situazione a livello globale?

Il percorso per l’uguaglianza e la sicurezza delle donne è in salita a livello mondiale. Nonostante le conquiste sociali, economiche e politiche, le donne continuano a subire discriminazioni e violenze in ogni parte del mondo. Questi sono i risultati dell’indagine annuale WIN World Survey 2022, realizzata in collaborazione con BVA Doxa, che ha raccolto le opinioni di circa 29mila persone in 39 Paesi, pubblicata in occasione della giornata internazionale della donna.

Stipendi equi, opportunità di carriera e sicurezza

Il sondaggio ha rivelato che le donne desiderano opportunità di carriera e stipendi equi, più tempo per sé stesse, progetti per il futuro e la maternità, ma sono anche vittime di violenza fisica e psicologica.
In linea generale, gli uomini sono considerati più favoriti sul posto di lavoro, secondo il 39% delle persone intervistate, e il 52% degli intervistati ritiene che le opportunità delle donne siano limitate, in particolare in Europa, dove l’Italia, la Croazia e la Francia risentono della maggiore disparità. Sul divario retributivo di genere, il 45% della popolazione mondiale crede che la retribuzione sia uguale tra uomini e donne, ma il 51% degli uomini sostiene che non ci sia un divario retributivo tra generi rispetto al 38% delle donne.

Aumentano gli episodi di violenza

La situazione è preoccupante per le donne che subiscono violenza fisica o psicologica, il cui numero è in crescita a livello globale rispetto all’anno precedente. In particolare, il 23% delle giovani donne dai 18 ai 24 anni è vittima di violenza, a fronte del 17% in generale, e questo dato è in aumento anche in Europa, con l’Italia al 19%. Negli Stati Uniti, l’aumento della violenza contro le donne di età compresa tra 17 e 34 anni è del 10%, dal 12% del 2019 a oltre il 22% nell’ultimo sondaggio.

Il ruolo della salute mentale

La ricerca ha esaminato anche il benessere mentale delle donne, poiché i dati ufficiali mostrano un aumento del tasso di suicidio, causa di mortalità che riguarda ogni anno 250.000 donne. Il 50% delle giovani donne tra i 17 e i 35 anni e il 46% tra i 35 e i 54 anni ha sofferto di stress nel 2022.
In generale, l’indagine ha evidenziato che la disuguaglianza di genere e gli atti di violenza sono ancora troppo alti, ma è importante apprezzare i piccoli ma importanti progressi compiuti da alcuni paesi o regioni. Vilma Scarpino, Presidente di WIN e Ceo di BVA Doxa, ha dichiarato che la missione di WIN è far luce su questioni pressanti come queste, nella speranza che un giorno “vedremo miglioramenti radicali nei risultati del nostro sondaggio globale”.

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Aziende e cybersecurity: come aumentare la resilienza della sicurezza

Il Security Outcomes Report, Volume 3: Achieving Security Resilience, è lo studio realizzato da Cisco in 26 Paesi per identificare i fattori in grado di aumentare la resilienza della sicurezza aziendale. Il 65% delle aziende italiane ha infatti subito conseguenze negative sul proprio business a causa di un attacco informatico. In particolare, il 37,7% ha subito violazioni di rete o dei dati, il 40,8% interruzioni di rete o sistema, il 36,2% danni da ransomware, e il 60% ha dovuto far fronte ad attacchi distributed denial of service. Eventi che hanno comportato un’interruzione dell’operatività e delle comunicazioni (EMEA: 62,6%), disservizi nella supply chain (EMEA: 43%), compromissione delle attività interne (EMEA: 41,4%) e della reputazione del brand (EMEA: 39,7%). 

L’impatto di leadership, cultura aziendale e risorse

Lo studio si concentra sui fattori culturali, ambientali e le soluzioni che le aziende devono adottare per raggiungere la resilienza della sicurezza. La sicurezza riguarda infatti la sfera umana, poiché leadership, cultura aziendale e risorse hanno un impatto considerevole sulla resilienza. Di fatto, le aziende che segnalano uno scarso supporto da parte dei dirigenti in materia di sicurezza hanno ottenuto un punteggio inferiore del 39% (EMEA) rispetto a quelle che godono di un significativo supporto. E quelle che promuovono una cultura della sicurezza hanno ottenuto un punteggio medio del 46% (EMEA). Inoltre, le aziende che impiegano personale e risorse interne aggiuntive per rispondere agli ‘incidenti’ hanno ottenuto un incremento del 15% nei risultati di resilienza.

Un modello zero trust evoluto

Le aziende nell’area EMEA le cui infrastrutture tecnologiche sono prevalentemente on-premise o basate sul cloud, hanno ottenuto, a pari livello, i punteggi di resilienza della sicurezza più alti.
Tuttavia, le aziende che si trovano nelle fasi iniziali di transizione da un ambiente on-premise a un ambiente cloud ibrido hanno registrato un calo del punteggio tra 8,5%-14%, a seconda della difficoltà di gestione degli ambienti ibridi. Le aziende che poi hanno dichiarato di aver adottato un modello zero trust evoluto hanno ottenuto un aumento del 30% (EMEA) del punteggio di resilienza rispetto a quelle che non l’hanno implementato.

Funzionalità avanzate di rilevamento e risposta

Le funzionalità avanzate di rilevamento e risposta hanno portato a un aumento del 45% (EMEA) del punteggio di resilienza rispetto alle aziende che hanno dichiarato di non avere tali soluzioni. E la convergenza delle tecnologie di rete e sicurezza in un sistema Secure Access Services Edge distribuito in cloud ha migliorato i punteggi di resilienza della sicurezza del 27% (EMEA).
“I Security Outcomes Report analizzano ciò che funziona e ciò che non è efficace nel campo della cybersecurity – dichiara Jeetu Patel, executive vice president and general manager security and collaboration di Cisco -. L’obiettivo finale è quello di fare chiarezza nel mercato e identificare le modalità in grado di garantire risultati certi per i difensori”.

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Novembre 2022, i prezzi dei beni salgono ancora (ma di poco)

Prezzi ancora in salita, ma con una curva più lieve; inflazione tendenziale stabile. Ecco, in sintesi, cosa emerge dalle stime preliminari dell’Istat riferite ai prezzi al consumo a novembre 2022. Potrebbero esserci anche degli spiragli di ottimismo, soprattutto per quanto riguarda i prezzi dei bene non energetici.
L’Istituto di Statistica commenta così i dati: “Dopo la brusca accelerazione di ottobre, a novembre 2022 l’inflazione, che rimane a livelli che non si vedevano da marzo 1984 (quando fu +11,9%), è stabile. I prezzi di alcune componenti, che ne avevano sostenuto l’ascesa, tra cui gli energetici non regolamentati e in misura minore gli alimentari non lavorati, rallentano su base annua, mentre quelli di altre componenti continuano ad accelerare, tra cui gli energetici regolamentati e in misura minore gli alimentari lavorati.
Anche i prezzi del ‘carrello della spesa’ accelerano ma di poco. Se nei prossimi mesi continuasse la discesa in corso dei prezzi all’ingrosso del gas e di altre materie prime, il fuoco dell’inflazione, che ha caratterizzato sin qui l’anno in corso, potrebbe iniziare a ritirarsi”.

L’inflazione resta stabile 

Secondo le stime preliminari, a novembre 2022 l’indice nazionale dei prezzi al consumo per l’intera collettività (NIC), al lordo dei tabacchi, registra un aumento dello 0,5% su base mensile e dell’11,8% su base annua (come nel mese precedente). L’inflazione rimane stabile su base tendenziale a causa, principalmente, degli andamenti contrapposti di alcuni aggregati di spesa: da un lato rallentano i prezzi dei Beni energetici non regolamentati (da +79,4% a +69,9%), degli Alimentari non lavorati (da +12,9% a +11,3%) e dei Servizi relativi ai trasporti (da +7,2% a +6,8%); dall’altro accelerano i prezzi degli Energetici regolamentati (da +51,6% a +56,1%), dei Beni alimentari lavorati (da +13,3% a +14,4%), degli Altri beni (da +4,6% a +5,0%) e dei Servizi ricreativi, culturali e per la cura della persona (da +5,2% a +5,5%).
L’“inflazione di fondo”, al netto degli energetici e degli alimentari freschi, accelera da +5,3% a +5,7%; quella al netto dei soli beni energetici sale da +5,9% a +6,1%.

L’andamento dei prezzi dei beni

Su base annua, i prezzi dei beni mostrano un lieve rallentamento (da +17,6% a +17,5%), mentre rimangono stabili quelli dei servizi (+3,8%); si ridimensiona, quindi, di poco, il differenziale inflazionistico negativo tra questi ultimi e i prezzi dei beni (da -13,8 di ottobre a -13,7 punti percentuali). I prezzi dei Beni alimentari, per la cura della casa e della persona registrano una modesta accelerazione su base tendenziale (da +12,6% a +12,8%); rallentano, al contrario, quelli dei prodotti ad alta frequenza d’acquisto (da +8,9% a +8,8%). L’aumento congiunturale dell’indice generale è dovuto prevalentemente ai prezzi dei Beni energetici regolamentati (+3,0%), degli Energetici non regolamentati (+2,2%), degli Alimentari lavorati (+1,5%) e dei Beni non durevoli (+0,6%); in calo invece, a causa per lo più di fattori stagionali, i prezzi dei Servizi ricreativi, culturali e per la cura della persona (-0,4%) e dei Servizi relativi ai trasporti (-0,2%). 

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Identità digitale, Spid per due italiani su tre

Lo Spid, il cosiddetto Sistema Pubblico di Identità Digitale, nel nostro Paese è diventato ormai quasi normalità. Tanto che due italiani su tre ne sono in possesso. A dirlo sono i risultati emersi dalla ricerca dell’Osservatorio Digital Identity della School of Management del Politecnico di Milano, presentata durante il convegno “Digital Wallet: identity (r)evolution”. Venendo ai numeri, a fine settembre 2022 risultano 32,2 milioni i cittadini in possesso di Spid, con un incremento del 30% rispetto allo stesso periodo del 2021, con rilasci e accessi in continuo aumento. In particolare, esistono delle differenze sia a livello anagrafico sia geografico: tutti i ragazzi della fascia 18-24 anni possiedono SPID, situazione molto diversa tra gli oltre 75 anni dove meno di 1 su 4 ha attivato la propria identità digitale. Anche a livello geografico, ci sono molte differenze: si passa dal record del Lazio, dove il 74% della popolazione ha Spid, seguito da Lombardia (70%) ed Emilia-Romagna, Campania e Piemonte (62%), fino agli ultimi posti di Calabria (54%), Marche (53%) e Molise (con il 52%). In Italia, tuttavia, non esiste solo Spid, ma cresce anche la diffusione della Carta d’Identità Elettronica: 31,3 milioni di cittadini sono in possesso del documento, +29% rispetto a settembre 2021. Questi livelli di diffusione posizionano l’Italia già oltre gli obiettivi definiti nel PNRR per il 2024.

L’European Digital Identity Wallet

A giugno 2021, la bozza di revisione del regolamento eIDAS ha delineato la creazione di un European Digital Identity (Eudi) Wallet. Dovrebbe venire introdotto un nuovo ruolo, quello di Wallet Provider, che potrebbe potenzialmente essere ricoperto tanto da attori tradizionali quanto da nuovi soggetti. Per sperimentare questo nuovo paradigma sono state incentivate iniziative di collaborazione tra i diversi Paesi per lo sviluppo di wallet, utilizzabili in diversi casi d’uso in ambito pubblico e privato. Nella prospettiva della transnazionalità, a febbraio 2022 è stato lanciato un bando da 37 milioni di euro per lo sviluppo di progetti pilota.
“Siamo davanti a un bivio che potrebbe portare ad una rivoluzione del settore – afferma Valeria Portale, Direttore dell’Osservatorio Digital Identity -. Se il wallet sarà considerato solo come un nuovo ‘contenitore’ per identità digitali e credenziali esistenti, senza modificare la configurazione attuale del mercato e dell’offerta all’utente, sarà semplicemente un ritocco di quanto siamo già abituati a utilizzare. Se invece davvero si riuscirà a raggiungere l’interoperabilità, abilitando sinergie tra servizi digitali in Stati diversi, allora si assisterà davvero alla rivoluzione dell’identità digitale. L’Italia è chiamata ad affrontare una sfida difficile a fianco di altri paesi europei. Senza una chiara strategia sull’identità digitale, sarà estremamente difficile per le aziende e, più in generale, per l’intero Paese catturare le opportunità generate dal wallet comunitario: è importante lavorare ora per essere davvero parte di questa rivoluzione ed evitare di rimanerne travolti”.

L’identità digitale nelle aziende

La pandemia ha spinto le grandi aziende a offrire modalità di riconoscimento da remoto per garantire continuità di business, ma la visione matura e strategica dell’identità digitale è ancora lontana. L’80% delle grandi aziende nei settori finance, telco e utility consente di avviare e concludere la procedura di riconoscimento in digitale e, nell’80% dei casi in cui è necessaria una verifica dei dati inseriti dall’utente, effettuarla senza doversi recare allo sportello. Le aziende stanno cominciando a integrare modalità di riconoscimento senza password o pin, sostituendole con fattori di possesso, come l’invio via sms o email di un codice OTP (42% dei casi) o app per generare OTP o notifiche push (18%), ma anche fattori biometrici (solo 8% dei casi). Anche negli ambiti con maggiore maturità, però, manca un’adeguata struttura interna che presidi la gestione dell’identità digitale. E il 63% delle aziende in questi settori non ha mai valutato l’integrazione di sistemi certificati a livello nazionale, come Spid e CIE.

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Spazio, sostenibilità, qualità della vita: ecco cosa gli italiani cercano in una casa

Voglia di maggiori spazi, grande attenzione alla sostenibilità economica ed energetica, ricerca di qualità della vita: gli italiani rinsaldano il rapporto che hanno con la loro casa, che diventa ancora più importante nelle loro vite. Ecco, in estrema sintesi, le principali indicazioni che emergono dalla quinta edizione di CasaDoxa 2022, l’Osservatorio nazionale sugli italiani e la casa di BVA Doxa che fotografa i cambiamenti in atto nella società e nelle case degli italiani, intervistando ogni anno un campione rappresentativo di 7.000 famiglie. Per dirlo in una sola frase, anche per quanto riguarda la casa si sta affermando una nuova “progettualità del buon vivere”:

Cosa è cambiato negli ultimi anni

Rispetto alla precedente edizione dell’analisi, salta all’occhio che oggi sono circa 1 milione le famiglie che vorrebbero cambiare abitazione. Perchè? “Tutti i cambiamenti che abbiamo dovuto affrontare – spiega Paola Caniglia, Head of Living & Retail di BVA Doxa – hanno ridisegnato le nostre case, il nostro modo di viverle e, soprattutto, la nostra relazione con esse. La casa ha assunto una forte rilevanza perché diventa il fulcro del nostro nuovo progetto esistenziale. Una diversa attenzione al tempo, al lavoro, al digitale, alla sostenibilità hanno messo in discussione i nostri tradizionali percorsi di vita e ci indica che è in corso un ribaltamento della prospettiva gravitazionale casa-lavoro”. La possibilità di avere una migliore qualità della vita, fatta anche di ampi spazi domestici interni ed esterni, potrebbe essere una delle leve che spinge tanti nostri connazionali a cercare una nuova residenza.

Obiettivo: più spazio vivibile

Quali sono le caratteristiche più importanti che fanno sì che una casa sia quella “perfetta”? Gli italiani cercano più spazi, interni ed esterni con un incremento del 36% che desidera una stanza in più e del 12% che vuole un terrazzo o un giardino, dichiarandosi disponibili ad allontanarsi dal centro, pur di avere più spazio. Il rapporto segnala poi che esiste una maggiore apertura nei confronti di soluzioni innovative per l’approvvigionamento energetico, con 6 persone su 10 che si dicono propense ad aderire ad una comunità energetica nel proprio condominio o nel quartiere, qualora questa si costituisse. Anche La sensibilità ai temi dell’ambiente si traduce sempre più in gesti concreti e quotidiani: il 78% dichiara di spegnere le luci ogni volta che esce da una stanza (+18% rispetto al 2019); il 72% utilizza lavastoviglie e lavatrici solo quando sono a pieno carico (+24%); il 66% sceglie prodotti ad alta efficienza energetica (+21%) e il 57% tiene il riscaldamento al minimo (+34%). Infine, è da mettere in evidenza un dato importante: il 68% degli italiani passa più tempo in casa facendo anche attività che prima non faceva: +33% a pranzo, +36% a cena, +42%, a guardare film e serie tv, +31% a lavorare e +26% a fare fitness e tenersi in forma.