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Identità digitale, Spid per due italiani su tre

Lo Spid, il cosiddetto Sistema Pubblico di Identità Digitale, nel nostro Paese è diventato ormai quasi normalità. Tanto che due italiani su tre ne sono in possesso. A dirlo sono i risultati emersi dalla ricerca dell’Osservatorio Digital Identity della School of Management del Politecnico di Milano, presentata durante il convegno “Digital Wallet: identity (r)evolution”. Venendo ai numeri, a fine settembre 2022 risultano 32,2 milioni i cittadini in possesso di Spid, con un incremento del 30% rispetto allo stesso periodo del 2021, con rilasci e accessi in continuo aumento. In particolare, esistono delle differenze sia a livello anagrafico sia geografico: tutti i ragazzi della fascia 18-24 anni possiedono SPID, situazione molto diversa tra gli oltre 75 anni dove meno di 1 su 4 ha attivato la propria identità digitale. Anche a livello geografico, ci sono molte differenze: si passa dal record del Lazio, dove il 74% della popolazione ha Spid, seguito da Lombardia (70%) ed Emilia-Romagna, Campania e Piemonte (62%), fino agli ultimi posti di Calabria (54%), Marche (53%) e Molise (con il 52%). In Italia, tuttavia, non esiste solo Spid, ma cresce anche la diffusione della Carta d’Identità Elettronica: 31,3 milioni di cittadini sono in possesso del documento, +29% rispetto a settembre 2021. Questi livelli di diffusione posizionano l’Italia già oltre gli obiettivi definiti nel PNRR per il 2024.

L’European Digital Identity Wallet

A giugno 2021, la bozza di revisione del regolamento eIDAS ha delineato la creazione di un European Digital Identity (Eudi) Wallet. Dovrebbe venire introdotto un nuovo ruolo, quello di Wallet Provider, che potrebbe potenzialmente essere ricoperto tanto da attori tradizionali quanto da nuovi soggetti. Per sperimentare questo nuovo paradigma sono state incentivate iniziative di collaborazione tra i diversi Paesi per lo sviluppo di wallet, utilizzabili in diversi casi d’uso in ambito pubblico e privato. Nella prospettiva della transnazionalità, a febbraio 2022 è stato lanciato un bando da 37 milioni di euro per lo sviluppo di progetti pilota.
“Siamo davanti a un bivio che potrebbe portare ad una rivoluzione del settore – afferma Valeria Portale, Direttore dell’Osservatorio Digital Identity -. Se il wallet sarà considerato solo come un nuovo ‘contenitore’ per identità digitali e credenziali esistenti, senza modificare la configurazione attuale del mercato e dell’offerta all’utente, sarà semplicemente un ritocco di quanto siamo già abituati a utilizzare. Se invece davvero si riuscirà a raggiungere l’interoperabilità, abilitando sinergie tra servizi digitali in Stati diversi, allora si assisterà davvero alla rivoluzione dell’identità digitale. L’Italia è chiamata ad affrontare una sfida difficile a fianco di altri paesi europei. Senza una chiara strategia sull’identità digitale, sarà estremamente difficile per le aziende e, più in generale, per l’intero Paese catturare le opportunità generate dal wallet comunitario: è importante lavorare ora per essere davvero parte di questa rivoluzione ed evitare di rimanerne travolti”.

L’identità digitale nelle aziende

La pandemia ha spinto le grandi aziende a offrire modalità di riconoscimento da remoto per garantire continuità di business, ma la visione matura e strategica dell’identità digitale è ancora lontana. L’80% delle grandi aziende nei settori finance, telco e utility consente di avviare e concludere la procedura di riconoscimento in digitale e, nell’80% dei casi in cui è necessaria una verifica dei dati inseriti dall’utente, effettuarla senza doversi recare allo sportello. Le aziende stanno cominciando a integrare modalità di riconoscimento senza password o pin, sostituendole con fattori di possesso, come l’invio via sms o email di un codice OTP (42% dei casi) o app per generare OTP o notifiche push (18%), ma anche fattori biometrici (solo 8% dei casi). Anche negli ambiti con maggiore maturità, però, manca un’adeguata struttura interna che presidi la gestione dell’identità digitale. E il 63% delle aziende in questi settori non ha mai valutato l’integrazione di sistemi certificati a livello nazionale, come Spid e CIE.