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Curiosità in numeri

Gli italiani vogliono cambiare lavoro

Dopo la pandemia gli italiani hanno voglia di cambiamento, a cominciare dal lavoro, e cercano un’occupazione più compatibile con le esigenze di vita personale, e più appagante sotto il profilo professionale ed economico. A descrivere il sentiment degli italiani è l’indagine della Fondazione studi consulenti del lavoro, dal titolo Italiani e lavoro nell’anno della transizione, condotta in collaborazione con SWG. E dall’indagine emerge come più della metà dei lavoratori (55%) desideri una nuova occupazione perché quella attuale non è più soddisfacente, e il 15% si sia attivato per cercare un altro impiego. Si tratta di un fenomeno trasversale, diffuso non solo tra i giovani e determinate categorie di lavoratori, e decisamente nuovo per un mercato del lavoro da sempre caratterizzato da stabilità e basso turnover interno.

Voltare pagina per insoddisfazione o voglia di novità

A pesare sulla decisione di voler voltare pagina sono l’insoddisfazione (38,7%) e la voglia di novità (35,4%), meno la scadenza del contratto (9,8%) o la paura di perdere il lavoro (11,8%). Alla base dell’insoddisfazione, salari bassi (31,9%) e scarse opportunità di carriera (40,9%).
Ma non è solo il miglioramento retributivo e professionale a spingere al cambiamento. Il 49% degli italiani indica tra i requisiti irrinunciabili della nuova occupazione un maggiore equilibrio personale, minori livelli di stress e più tempo da dedicare a sé stessi. Il benessere individuale, complice anche i due anni di pandemia, è l’obiettivo soprattutto di under 35 e 35-44enni, prioritario rispetto al miglioramento economico.

Stipendi troppo bassi, tassazione elevata, scarsa meritocrazia

I mali del lavoro non derivano infatti solo dalle condizioni economiche. Dopo gli stipendi troppo bassi (56,7%) e la tassazione elevata (43,9%), l’altra criticità è la scarsa meritocrazia del sistema (33%). Un tema avvertito con maggiore urgenza rispetto a quello della precarietà, soprattutto dai giovani. L’idea del ‘posto fisso’ perde dunque appeal. Per quanto un lavoro sicuro resti un obiettivo irrinunciabile per chi sta cercando un’occupazione (25,3%), l’assenza di meritocrazia limita ancor più i pochi spazi di crescita esistenti. D’altronde, la pandemia ha innescato una forte accelerazione tecnologica, costringendo anche i lavoratori più resistenti a fare i conti con le nuove modalità. Il 61% degli intervistati afferma che la rivoluzione tecnologica ha cambiato il lavoro, e una percentuale minoritaria (13,9%) la boccia perché ha reso il lavoro più complicato (14,6%) e disumano (11,1%).

Colpa dello smart working?

Secondo la ricerca, riferisce Adnkronos, è lo smart working ad avere giocato un ruolo decisivo. Se nel 2021 gli smartworker fornivano un giudizio ambivalente, evidenziando le criticità connesse al lavoro da remoto, nel 2022 l’84,2% dei lavoratori ‘agili’ promuove a pieni voti questo modello, perché concilia lavoro e vita privata. Il 31,8% degli italiani non accetterebbe di tornare a lavorare in presenza, il 16,9% cambierebbe lavoro e il 9,3% potrebbe addirittura licenziarsi. Un modello, dunque, che si consolida e che cambia non solo il lavoro, ma anche la cultura sottostante.
Il 50,2% dei lavoratori dipendenti preferirebbe, infatti, essere valutato sui risultati piuttosto che sull’orario di lavoro.